01/02/17

Marcello Messina e Stefania Capogreco, BIANCO, ROSSO E VERDONE E IL SILENZIO DELL’EMIGRANTE PASQUALE AMETRANO: OBLII, VOTI DI SILENZIO E TESTAMENTI ANTI-CATARTICI



[Multicultural Paris (2016). Foto Rb]


Vedere o rivedere il film a episodi Bianco, Rosso e Verdone, scritto, diretto e interpretato da Carlo Verdone nel 1981,[1] dopo intere esistenze, o quasi, vissute fuori dall’Italia, comporta confrontarsi brutalmente con l’episodio di Pasquale Ametrano, l’emigrante che torna dalla Germania per votare e percorre l’Italia da Nord a Sud verso Matera, sua città d’origine. Com’è noto, durante il viaggio Pasquale viene ripetutamente derubato, tanto da arrivare a Matera in condizioni precarie. Pasquale non dice una parola per l’intera durata del film, per poi finalmente esplodere in un lungo sfogo di fronte ai membri del seggio elettorale.

L’episodio di Pasquale incornicia il film, che - fatta eccezione per una breve road scene introduttiva - comincia a Monaco di Baviera, al risveglio del nostro, e finisce con lo sfogo al seggio di Matera. Racchiudendo gli altri due episodi, la vicenda di Pasquale può essere vista come una chiave interpretativa dell’intero film che, come è stato notato, contiene riferimenti precisi all’emigrazione da Sud a Nord.[2] In questo breve testo, intendiamo esaminare la vicenda e il personaggio di Pasquale alla ricerca di una trama allegorica che catturi aspetti essenziali delle aspirazioni, delle esperienze, delle rappresentazioni e delle identità degli emigranti che torna(va)no in Italia.

La cultura italiana, salvo importanti eccezioni, è caratterizzata da gravi lacune per quanto riguarda la rappresentazione delle vite e delle comunità che i nostri emigranti hanno costruito fuori dal territorio nazionale.[3] Quest’oblio del soggetto diasporico è associato a due tendenze culturali: da un lato, lo snobismo intellettuale delle nostre élite culturali, che hanno tradizionalmente trascurato le umili storie dei nostri emigranti[4] e dall’altro, il desiderio xenofobico di stabilire una distanza dalle vicende degli immigrati che si sono stabiliti in Italia negli ultimi 30 anni.[5] L’oblio dell’emigrante è insomma una funzione della doppia articolazione dell’Altro nazionale: da un lato, l’Altro interno, meridionale/terrone, e dall’altro lato l’immigrato extracomunitatrio, l’Altro assoluto.[6] In questo contesto, possiamo leggere il silenzio ostinato di Pasquale come metafora del silenziamento e dell’oblio delle miriadi di storie di migrazione da e verso l’Italia: non è tanto Pasquale che non parla, la verità è che nessuno ha voglia di ascoltarlo. Pasquale è tanto silenzioso con i suoi interlocutori italiani, quanto con quelli tedeschi, compresa la moglie. Ma quando, nel parcheggio di un autogrill, il nostro prova a fare amicizia con dei turisti tedeschi, scoppiando in una sonora risata in reazione a una loro barzelletta, questi gli voltano le spalle. Coerentemente col concetto di “doppia assenza”[7] formulato da Abdelmalek Sayad, Pasquale è straniero sia in Italia che in Germania.

Ma il mutismo di Pasquale non è semplicemente la metafora di un oblio imposto: piuttosto, è un vero e proprio voto di silenzio, una protesta attiva e insistente contro coloro che lo emarginano. Prendendo spunto dalle proteste di detenuti nell’Australia Meridionale e a Guantánamo, analizzate da Joseph Pugliese, ci sembra che il silenzio di Pasquale possa essere descritto come un “atto verbale e corporeo di rifiuto della circonlocuzione”,[8] che “sfida la nazione al limite estremo della ragione e del linguaggio”.[9] È il contesto della vicenda di Pasquale a permetterci questo paragone ardito tra una commedia leggera ed esempi estremi di violenza carceraria, perché la traiettoria dell’emigrante meridionale si iscrive necessariamente in una storia di saccheggi spietati ai danni del Sud, segnati anche da numerosi episodi di violenza contro le popolazioni locali.[10] Eventi del genere hanno contribuito a definire l’identità nazionale italiana in termini nord-normativi, in corrispondenza di congiunture storiche fondamentali come il Risorgimento e il secondo dopoguerra.

Non a caso, l’arrivo di Pasquale in Italia comincia sul Brennero, a mille chilometri da Matera. La sua tacita, ma entusiastica interlocuzione con un doganiere siciliano - un altro meridionale emigrato -[11] è solo un’illusione momentanea, perché durante il suo viaggio da Nord a Sud viene derubato varie volte. Questi furti ripetuti rimettono in scena le depredazioni e la violenza iscritte nella storia collettiva meridionale incarnata individualmente da Pasquale. La natura del suo ritorno al Sud, che ha luogo altrove, al Nord, è un’allegoria del mito della nazione italiana. Al meridionale emigrato che ritorna è richiesta l’internalizzazione della propria alterità, affinché il mito di un’Italia territorialmente integra possa rimanere viabile.[12] Prima di ritornare a Matera, Pasquale è ripulito, denudato e svuotato.

Sebbene i furti subiti da Pasquale abbiano luogo principalmente a Nord, l’ultimo si consuma a Caianiello, in provincia di Napoli. Pasquale s’imbatte prima in un senzatetto che dorme sopra un sacco di immondizia, e poi torna alla sua automobile e scopre che gli hanno rubato il sedile e il parabrezza. Infuriato, si appropria delle borchie di un’altra macchina parcheggiata lì vicino, ma viene beccato da alcuni residenti locali che lo pestano, inveendo contro di lui in napoletano stretto. È vero che nel film Verdone rappresenta questi furti come caratteristica trasversale al territorio nazionale, ma è anche vero che questa scena si serve di un immaginario consunto su Napoli come “città aberrante”.[13]

Ci sarebbe poi da considerare l’appartenenza di Pasquale, secondo dichiarazioni dello stesso Verdone,[14] alla categoria dell’italiano medio. La rappresentazione dell’italiano medio come soggetto meridionale che incarna i vizi e le debolezze dell’intera nazione parte proprio dalla commedia degli anni ’70 e ’80 e arriva ai giorni nostri passando per le canzoni degli Skiantos,[15] di Elio e le Storie Tese[16] e degli Articolo 31,[17] per poi approdare a un amatissimo trailer di Maccio Capatonda, successivamente diventato un film, nel quale l’eroe si trasforma da cittadino esemplare in italiano medio, cambiando anche l’accento da una pronuncia standard a marcate inflessioni meridionali.[18] Il fatto che i soggetti meridionali vengano rappresentati come italiani medi sembra sconfessare tesi critiche sul trattamento del Sud come Altro[19] o come negazione di una norma nazionale immaginata.[20] Al contrario, però, l’italiano medio meridionale è Altro perché incarna una mediocrità che la nazione italiana in realtà immagina al di sotto di sé. Così, le aspirazioni, le inclinazioni e la personalità di Pasquale emergono nel film sia in termini di mediocrità che di meridionalità. Sulla camera da letto del nostro campeggia il poster di Franco Causio, giocatore salentino che arrivò a giocare per tanti anni alla Juventus, la squadra di calcio - settentrionale - più amata dagli italiani, e specialmente dai meridionali emigrati. Inoltre, Pasquale guida un’Alfasud, automobile popolarissima, costruita a Pomigliano D’Arco (NA), da una filiale della compagnia - nuovamente, settentrionale - Alfa Romeo: l’Alfasud è rimasta emblema dei tentativi falliti di “trasferire” al Sud il modello di industrializzazione del Nord.[21] Sia Causio che l’Alfasud, in altre parole, alludono al desiderio collettivo del Sud di conformarsi a un modello settentrionale, sia esso un modello di produttività industriale o di eccellenza calcistica. Questo desiderio è risibile per la nazione italiana, tanto che neanche Verdone, che pure sembra simpatizzare con Pasquale, rinuncia a ridere spietatamente di questa supposta mediocrità meridionale.

Infine, Verdone interpreta Pasquale in modo da esasperare i tratti più bizzarri della sua personalità. Pasquale ci appare così estremamente infantile, al punto di comprare peluche giganti e di invidiare una bambina che ha un leccalecca in mano. Inoltre, a Pasquale mancano le più basiche capacità di interagire socialmente, come dimostrato dalla scena coi turisti tedeschi, o da quella immediatamente successiva, in cui offre un passaggio a degli autostoppisti, che però rifiutano, visibilmente disgustati dalla sua maglietta arrotolata sopra il ventre. A questo proposito, la presenza fisica del personaggio è emblematica, perché oltre a tenere la maglietta arrotolata per quasi tutto il film, Pasquale fa delle espressioni facciali abbastanza sciocche, che ce lo mostrano come un sempliciotto. Tutti questi elementi contribuiscono a costruire Pasquale come irrimediabilmente Altro: un soggetto meridionale, emigrato, incomunicativo, bizzarro e sciocco la cui personalità è orchestrata appositamente per essere oggetto di scherno da parte del pubblico.

D’altro canto, però, alcuni di questi elementi della performance di Verdone/Pasquale fanno parte della comicità slapstick da film muto che si reggono naturalmente su tratti bizzarri e infantili, anche per sopperire alla mancanza di appigli verbali. In questo senso, possiamo paragonare il voto di silenzio di Pasquale al rifiuto di Buster Keaton di sorridere nei film, o, ancora meglio, al silenzio ostinato dello Charlot di Chaplin, andato avanti per tanti anni anche dopo l’invenzione del sonoro. Come Verdone/Pasquale, Chaplin/Charlot è un eterno outsider, che si reincarna, di film in film, in vagabondo, immigrato, operaio sfruttato e, infine, in barbiere ebreo, perseguitato nella Germania degli anni ’40.[22] Alla fine di questa traiettoria, Charlot rompe il silenzio ne Il grande dittatore, e manda un messaggio catartico di pace e solidarietà all’intera umanità. Pasquale, come Charlot, rompe il silenzio alla fine del suo viaggio, ma lo fa solo per dichiarare e rinforzare la sua non-conformità nei confronti delle comunità nazionali di cui dovrebbe far parte. Il lucano di Pasquale, incomprensibile agli italiani come ai tedeschi, perde il suo significato in mezzo al potere normativo delle due lingue nazionali, mentre invece Chaplin/Charlot parla inglese, e per di più con un rifinito accento britannico che funziona da lingua franca per il mondo intero. Al contrario di molti altri dei personaggi di Verdone, ma come Charlot che esce di scena proprio dopo Il grande dittatore, Pasquale Ametrano non riappare più in altri film, e lascia il suo sfogo anti-catartico come testamento: “Annate tutti a piglià nder culo!”.[23] Pasquale è un contro-Charlot, che rifiuta fermamente, ed è fermamente rifiutato, dalle fondamenta nazionali sulle quali si è soliti pensare che una conciliazione con l’umanità possa, o addirittura debba, avere luogo.[24]





NOTE
[1] Bianco, rosso e Verdone, diretto da Carlo Verdone (Roma: Medusa Distribuzione, 1981).
[2] Pasquale Zaccagnini, I "mostri" al lavoro!: contadini, operai, commendatori ed impiegati nella commedia all'italiana (Roma: Sovera Edizioni, 2009), p. 94.
[3] Joseph Pugliese ‘Noi Altri: Italy’s Other Geopolitical Identities, Racialised Genealogies and Inter-Cultural Histories’, in Literary and Social Diasporas: An Italian Australian Perspective, a cura di Gaetano Rando e Gerry Turcotte (Bruxelles: Peter Lang, 2007), pp. 185-202 (p. 196).
[4] Antonio Gramsci citato in Ilaria Magnani, ‘I migranti nella letteratura italiana: Dall’assenza all’equivalenza’, Zibaldone. Estudios italianos, 3.1 (2015), 260-270.
[5] Alessia Orsini, ‘L'oblio dell'emigrante italiano’, Silmarillon, 15 (2009).
[6] Joseph Pugliese, ‘Whiteness and the blackening ofItaly: La guerra cafona, extracommunitari and provisional street justice’, PORTAL Journal of Multidisciplinary International Studies, 5.2 (2008).
[7] Abdelmalek Sayad, ‘La doppia assenza: Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato’ (Milano: Raffaello Cortina Editore, 2002).
[8] Joseph Pugliese, ‘Reflective Indocility: Tariq Ba Odah’s Guantánamo Hunger Strike as a Corporeal Speech Act of Circumlocutionary Refusal’, Law & Literature, 28.2 (2016), 117-138 (117).
[9] Joseph Pugliese, ‘Penal Asylum: Refugees, Ethics,Hospitality’, Borderlands, 1.1 (2002).
[10] Pugliese, ‘Whiteness and the Blackening of Italy’.
[11] Zaccagnini, p. 94.
[12] Mariella Pandolfi, ‘Two Italies: Rhetorical Figures of Failed Nationhood’. In Italy’s Southern Question: Orientalism in One Country, a cura di Jane Schneider (Oxford: Berg, 1998), pp. 285-289 (p.285).
[13] Si veda in proposito il lavoro di Nick Dines, e in particolare “Bad news from an aberrant city: a critical analysis of the British press's portrayal of organised crime and the refuse crisis in Naples”, Modern Italy 18.4 (2013), 409-422.
[14] Carlo Verdone citato in Luca Mastrantonio, ‘Da Verdone a Capatonda, l’italiano medioè morto dalle risate’, Corriere della Sera, 1 April 2013.
[15] Skiantos, ‘Italiano terrone che amo’, Signore dei dischi (RTI Music, 1992).
[16] Elio e le Storie Tese, ‘Mio cuggino’, Eat the Phikis (BMG, 1996).
[17] Articolo 31, ‘L’italiano medio’, Italiano medio (Ricordi, 2004). In questo caso specifico, la canzone non fa particolare riferimento all’italiano medio come meridionale: tuttavia, il protagonista del video, che interpreta l’italiano medio, è Pasquale Catozzo, pupazzo napoletano della serie televisiva I Munchies.
[18] Italiano medio, diretto da Maccio Capatonda (Rome: Medusa Film, 2015).
[19] John Dickie, “The South as Other: From Liberal Italy to the Lega Nord,” The Italianist, 14 [Numero straordinario - Culture and society in southern Italy: past and present] (1994): 124-140.
[20] Gabriella Gribaudi, “Images of the South: The Mezzogiorno as seen by Insiders and Outsider,” In The New History of the Italian South: The Mezzogiorno Revisited, a cura di Robert Lumley and Jonathan Morris (Exeter: University of Exeter Press, 1997), 83-113.
[21] Giovanni Basile e Annunziata Esposito, Storia di Pomigliano D’Arco dalle origini ai giorni nostri (Pomigliano D’Arco: Comune di Pomigliano D’Arco, 2009), pp. 197-198.
[22] Ci riferiamo in particolare a: Charlot emigrante (orig. The Immigrant), diretto da Charlie Chaplin (Elendale: Mutual Film Corporation, 1917); Luci della città (orig. City Lights), diretto da Charlie Chaplin (Beverly Hills: United Artists, 1931); Tempi moderni (orig. Modern Times), diretto da Charlie Chaplin (Beverly Hills: United Artists, 1931); e Il grande dittatore (orig. The Great Dictator), diretto da Charlie Chaplin (Beverly Hills: United Artists, 1940).
[23] Bianco, rosso e Verdone.
[24] Sul “nazionalismo metodologico”, ossia l’idea che lo stato-nazione sia l’unità naturale a partire dalla quale è possibile formulare qualsiasi analisi sociale, si veda Andreas Wimmer e Nina Glick Schiller, ‘Methodological nationalism and beyond: nation-state building, migration and the social sciences’. Global Networks, 2.4 (2002), 301-334.